Spazio in Situ

Intervista a Porter Ducrist, ex direttore artistico di Spazio In Situ a Roma

Porter Ducrist, ex direttore artistico di Spazio In Situ, racconta le visioni, le idee e le convinzioni che caratterizzano l’artist-run space a Roma.

a cura di Carlo Corona

Veduta della mostra. 2019
From Tor Bella with love. Fotografie di Marco De Rosa
Veduta della mostra. 2019
Gods are dogs and we are bitches. Fotografie di Marco De Rosa

Carlo Corona: Quali ragioni vi hanno spinto a inaugurare un project space? Come è nato lo spazio? 

Porter Ducrist: L’idea ci è venuta dopo aver finito l’accademia, terminata la parte didattica del cursus. Dopo aver individuato uno spazio che rispondeva alle nostre pretese, di prezzo e di superficie, abbiamo iniziato subito i lavori di ristrutturazione. È stato abbastanza divertente, nonostante fossimo al contempo impegnati a scrivere le nostre tesi). Operai di giorno, intellettuali di sera. C’era questo doppio statuto di pensatore-artigiano che spesso rappresenta l’artista. 

In Situ non era nato per essere uno spazio espositivo, ma cercavamo un posto dove poter produrre le nostre opere. Non eravamo ancora consapevoli della potenzialità di quest’ambiente, ma la scelta di inaugurare uno spazio espositivo è diventato chiaro appena abbiamo finito i lavori di ristrutturazione. Abbiamo inaugurato In Situ con una mostra collettiva dei 6 membri fondatori nel 2016, poi ci siamo ingranditi con uno spazio supplementare; oggi In Situ accoglie 11 studi di artisti.

Agli inizi, non avevamo immaginato cosa poteva diventare Spazio In Situ. Dal 2016 in poi siamo cresciuti e, consapevoli dei traguardi superati, abbiamo sempre cercato di alzare un po’ di più l’asticella. Un artist-run space è una sorta di centro di formazione, in cui i giovani artisti crescono assieme sia a livello professionale che creativo, almeno questo obiettivo ci ha spinto sin dall’inizio. Dialogare e pensare criticamente è stato l’insegnamento che abbiamo tratto dall’accademia e che abbiamo integrato nell’identità del nostro luogo. Questo dialogo si enfatizza quando le idee di ogni membro di Spazio In Situ si contaminano, creando un’estetica propria che ritrova tante connessioni con l’arte contemporanea.

CC: Quale insieme di visioni, idee e convinzioni caratterizzano lo spazio? 

PD: Dopo tutti questi anni siamo ben consapevoli del nostro ruolo nel sistema dell’arte italiano. Questa tipologia di spazio ha la capacità di restituire agli artisti la possibilità di poter definire il panorama artistico. Detta così sembra banale, ma poter scegliere chi esporre e che cosa esporre, permette di segnalare quello che per noi è degno d’interesse. Visto che ben spesso non siamo convinti da quello che vediamo “girare” e da ciò che troviamo non rappresentativo del mondo di oggi, poter scoprire e promuovere artisti e opere che non necessariamente sono di moda è un gran privilegio. Essendo autonomi rispetto a ciò che esponiamo, siamo liberi di scegliere quello che vogliamo trasmettere al nostro pubblico.

Cerchiamo di presentare opere con un giusto equilibrio tra forma e concetto, che sembrano accessibili ma che nascondono una stratificazione di referenze e di idee. Questa finta immediatezza è primordiale in un’opera, perché la rende universale. Cerchiamo poi di confrontarci con i nostri spettatori, cosa che consideriamo fondamentale, nonché uno degli scopi  del nostro ruolo. L’arte è una perpetua messa in questione delle certezze, deve porre interrogativi e soprattutto non deve essere moralista.

Quando vedi quello che esce da In Situ o che ci viene presentato, ci sono sempre questi punti in comune e credo sia una cosa che è propria della nostra estetica.

CC: In che modo l’opera e il contesto entrano in relazione? 

PD: Penso che il nostro nome spieghi bene la nostra relazione non solo con il nostro spazio espositivo, ma anche con l’atteggiamento che prendiamo nella nostra pratica artistica. Ogni format interroga il suo contesto e ogni spazio ha un suo statuto che merita attenzione. Poi è anche vero che ci piace giocare con le caratteristiche architettoniche dei luoghi. 

Le mostre che realizziamo a In Situ o con i suoi membri cercano sempre di dialogare tra loro, spaccando questa visione ormai scaduta dell’opera che necessita di respirare. Certamente l’opera ha bisogno di avere un proprio spazio, ma è attraverso le interazioni che essa crea con le altre opere esposte un vero discorso sulla società odierna. Cerchiamo sempre di interrogare attraverso il dispositivo mostra, trovando un equilibrio nell’allestimento. Lo scopo è di invitare lo spettatore a passeggiare tra le opere e di crearsi un proprio percorso e una propria riflessione.

CC: Come vengono selezionati gli artisti invitati a esporre? In che modo la vostra formazione influenza il programma espositivo? Ci sono dei punti di riferimento particolari? 

PD: Non avendo un unico format espositivo è difficile rispondere a questa domanda. Sono tanti i motivi che concorrono alla selezione di un artista. Sicuramente il primo è quello legato alla potenza del lavoro e alla sua coerenza con le tematiche trattate. Cerchiamo anche di creare ponti con l’estero perciò spesso invitiamo artisti stranieri. Tuttavia, attualmente il nostro spazio si è rifocalizzato su Roma e l’Italia, e avendo acquisito un po’ più di esperienza e ottenuto un certo riconoscimento sia qui che all’estero, tentiamo di creare concretamente dei ponti, facendo dialogare artisti italiani e stranieri nello stesso spazio. Questo è stato visibile nelle nostre due ultime mostre “ISIT exhi#001” e “Voyage / Voyage”. 

In generale, non abbiamo pregiudizi sulla tecnica o sui concetti presentati, l’unica cosa è che le opere devono contenere questo giusto equilibrio tra forma e messaggio. Diciamo che ogni mostra è una nuova ricerca; alcune volte presentiamo artisti già esposti, ma più frequentemente ne invitiamo di nuovi per dare al nostro pubblico una visione più ampia del panorama artistico attuale.

Abbiamo anche un format, “Inside the frame”, che prevede l’erogazione di un bando. Gli artisti sono invitati a confrontarsi con un supporto pubblicitario e a realizzare un lavoro che ne interroghi la forma. Questo bando è annuale, e nelle prossime edizioni abbiamo deciso di selezionare cinque progetti anziché otto come nella prima, per poter assicurare la massima qualità espositiva alle opere vincitrici.

CC: Nella scelta degli artisti seguite un discorso generazionale o approfondite uno o più specifici linguaggi artistici? Quali tipologie di mostre ha ospitato il progetto finora?

PD: La scelta è un po’ generazionale, anche se abbiamo un raggio d’azione abbastanza ampio, dai 23 ai 40 anni. Sappiamo che dobbiamo promuovere l’arte emergente e quindi lo facciamo, ma è anche vero che cerchiamo sempre di allestire mostre di qualità, questo spesso non è visto di buon occhio dagli artisti più giovani, ma è necessario. Abbiamo sempre cercato di essere un esempio per l’arte romana, interrogando nuove forme e nuove problematiche: una tale posizione non lascia spazio ai compromessi. Speriamo che il mondo dell’arte, le generazioni dei futuri artisti e neo laureati prenderanno esempio da ciò che abbiamo fatto e che potranno trovare stimoli per andare avanti. Chi lo sa, un giorno la loro ricerca potrebbe colpire la nostra attenzione e avviare una collaborazione. 

Le nostre mostre non hanno limiti né formali né concettuali, cerchiamo sempre di sorprendere. Parlare di tipologie espositive non è qualcosa che ci preoccupa, puntiamo alla qualità e alla crescita del nostro pensiero. Tale posizione è determinata anche dalla consapevolezza del nostro ruolo nel sistema dell’arte.

Veduta della mostra. 2020
Quando cade la magia rimane la disinvoltura. Fotografie di Marco De Rosa

CC: Come leggete il fenomeno dell’apertura di spazi gestiti da artisti che si sta diffondendo negli ultimi anni in Italia e che ciclicamente appare nella storia dell’arte del secondo Novecento? Quali potrebbero esserne secondo voi i motivi? 

PD: Credo che gli artisti abbiano sempre cercato un modo per autopromuoversi, inventando format che permettano di avanzare una nuova visione dell’arte. Il sistema dell’arte, e parlo principalmente delle gallerie e delle istituzioni, non ha la consapevolezza di questa produzione, e non ha interesse di scoprire quello che sta succedendo. Spesso si fermano alle proprie conoscenze, dando voce a ciò che il pubblico si aspetta. Oggi più che mai si è persa una visione a lungo termine, e l’ambiente stesso non ha più voglia di andare avanti, di crescere e di scrivere un nuovo capitolo della storia dell’arte. Tutti si compiacciono di questo statusquo, anche i curatori e i critici (se ancora esiste questa pratica). 

Le iniziative lanciate dagli artisti sono quindi necessarie, portano una nuova visione, un’altra definizione dell’arte e del suo scopo. Per anni ormai l’arte è stata dettata da un’eminenza grigia che chiamiamo mercato, che obbliga gli artisti a piegarsi alle regole imposte. In Italia, questa logica ha portato un crollo completo dell’arte, sia del suo valore commerciale sia della qualità delle proposte. Forse è tornato il tempo che gli artisti si emancipino, come lo hanno fatto le avanguardie con la borghesia. Certe volte tocca ricominciare, ripensare un sistema che possa aprire nuove porte e riportare l’arte a guardare davanti. Questo tipo di pensiero, benché utopico, è l’unico a poter ambire a un’innovazione del futuro, ma sicuramente deve nascere dagli artisti.

CC: Cosa vuol dire per voi essere uno spazio indipendente? Quale ruolo ricopre nello scenario artistico? 

PD: Essere uno spazio indipendente permette una grande autonomia nelle scelte, anche se devo ammettere che sono tante le pressioni esterne. Sicuramente all’inizio è difficile avere un certo riconoscimento, soprattutto quando si rifiutano certi giochi di palazzo. Tuttavia, credo che voler ottenere visibilità a tutti i costi, corrompa le ideologie. Il nostro ruolo è quello di promuovere ciò che non è visto, e creare una sorta di mediazione tra artisti e curatela. Il nostro ruolo è dare un futuro all’arte, ed espandere nuove piste da indagare. 

Dopo questi decenni di lotta narcisista e di autoreferenzialità, in Italia serve una visione di apertura e di dialogo che permetta al pubblico locale di confrontarsi e scoprire altre forme provenienti dall’estero. Al contempo, è necessario esportare la produzione artistica italiana fuori dai circuiti nazionali. Parlando con amici artisti e curatori stranieri, mi è stato segnalato il fatto che durante le fiere, gli stand delle gallerie italiane proponevano un’arte vecchia, un gusto del passato, un perpetuo ritorno all’arte povera e al futurismo, senza parlare di tutto il post-transavanguardia. Nessuno riusciva a proporre una visione fresca e attuale definita come “arte di oggi”. Purtroppo, devo ammettere che negli ultimi trent’anni sono state poche le iniziative lanciate da artisti nella penisola, sono sicuro che la carenza di questo tipo di proposte ha portato l’arte italiana e il suo sistema a guardare al passato.

Non dico che tutto ciò che sta accadendo oggi permetterà all’Italia di tornare nella scena internazionale, ma sicuramente è già un bel passo avanti. Si nota un terreno fertile, una voglia di condividere esperienze, c’è chi è molto più teorico e difende ideologie e chi fa per fare, vedendo cosa succede, ma in entrambi i casi il fatto di voler agire è sempre un dato positivo. Vedremo quello che succederà. L’attenzione sugli Off-Space è ormai stata conquistata, quello che dobbiamo fare ora è mantenerla per poter ambire a modificare dall’interno il sistema arte e quelli che sono i pregiudizi che quest’ultimo ha nei confronti della definizione dell’arte stessa.

CC: Qual è secondo voi il futuro degli artist-run spaces? 

PD:Non te lo saprei dire. Ho sentito persone dire che siamo il sostituto delle gallerie, – qualche spazio ha già intrapreso questa modifica di statuto -. Penso che questa visione sia riduttiva, cercherebbe di dare la colpa del fallimento del sistema dell’arte in Italia a un unico attore, invece secondo me la colpa è di tutti. Se le istituzioni fossero andate anche a indagare le nuove tendenze e cercare di includere questi artisti emergenti nella loro programmazione, si vedrebbe un’arte non corrotta dalla sua vendibilità; invece, vanno a fare la spesa nelle fiere e nelle gallerie che, com’è noto, l’arte la devono vendere. All’estero l’istituzione che si occupa di promuovere l’arte si reca innanzitutto nelle gallerie; questo fa si che quest’ultime siano incentivate a puntare sulla sperimentazione e sulle nuove forme. Invece, in Italia, sono le gallerie a dovere promuovere l’arte e quindi la loro visione si corrompe. 

Le riviste scrivono tutte le stesse cose, fanno articoli usa e getta, sono più segnalazioni che vere e proprie letture critiche. In questo sistema c’è la paura di dire del male, perché si teme di essere messi ai margini. Ma alla fine quando una mostra fa schifo, fa schifo; si può sempre cercare di argomentarne il positivo, ma quando si leggono certi articoli, si percepisce una totale assenza di convinzioni. Poi, è vero che questi giovani “critici” non sono neanche molto incentivati ad implicarsi, il loro lavoro non è neppure riconosciuto dalle riviste per le quali scrivono, lo fanno gratuitamente, sperando in un futuro migliore. 

I curatori pensano che il loro ruolo sia di scrivere il testo e di arredare lo spazio. Devo dire che per gli allestimenti farebbero spesso meglio a chiamare un decoratore d’interni, perché regolarmente sembra che le opere siano state piazzate in un punto solo perché c’era dello spazio. Poi se dobbiamo parlare dei testi, sembra che siano stati scritti da programmi digitali, stessi toni e stesse parole per tutti, l’unica cosa che manca è la ricerca di un concetto di fondo.

Per finire, il problema comprende anche gli artisti stessi, che hanno accettato questa situazione, che li ha relegati al ruolo di insignificante comparsa di questo sistema. Si lamentano di non essere valutati per il loro lavoro, ma chinano la schiena per non disturbare nessuno.

Con il nuovo fermento e le numerose realtà che come noi lavorano da anni, quali Ultrastudio a Pescara, Dimora Artica a Milano, Flip project a Napoli e Like a Little Disaster a Polignano (per citarne solo quattro), si sente un’ondata di fresco che spero possa portare a un rinnovamento profondo dell’arte e del suo sistema.

Non sarei sorpreso nel veder nascere una cooperativa degli spazi indipendenti, o come si preferisce essere definiti, che cercasse di modificare il loro riconoscimento a livello regionale e statale; tale azione permetterebbe sicuramente una semplificazione sul finanziamento delle iniziative e permetterebbe di ambire a una programmazione ancora più spinta, offrendo una maggiore qualità nelle proposte.

Una cosa è sicura, cioè che più che un sostituto alle gallerie, come ce lo vogliono far credere le direzioni delle fiere, siamo un complemento alle istituzioni e ai musei, siamo i centri dell’arte contemporanea di oggi e non degli anni Settanta, e sarebbe buono che tutti se ne rendessero conto. Ci siamo presi questa responsabilità, che teoricamente non ci compete, almeno così ci hanno fatto credere all’inizio, siamo il tassello che viene a colmare questo buco nel sistema che si sono inventati, un sistema impermeabile e noioso, in cui tutto sembra complicato. Ormai dopo sei anni di gestione, ho sentito tanta gente cambiare opinione sul nostro statuto e il nostro ruolo: mi davano del presuntuoso, dicendomi che dovevo seguire le loro regole; “Spazio mio, regole mie” rispondevo. Questo dimostra che le regole vanno ripensate o meglio vanno eliminate; l’arte per definizione è libera, chi prova a inquadrarla dovrebbe cambiare mestiere e facendo il punto sugli ultimi decenni devo dire che non sarebbero ancora tanti quelli che potrebbero sperare in un loro futuro nell’ambiente.

Ma è vero che adesso tutte queste lotte hanno portato i primi risultati, ora si vuole avere a che fare con gli spazi indipendenti, si vuole scrivere su essi perché siamo diventati un po’ l’elefante rosa in mezzo alla cucina, non si può non vedere. Purtroppo, quest’interesse di tutti non è necessariamente positivo, perché è facile diventare il nuovo fenomeno di moda, che tocca seguire fino alla prossima novità, senza nemmeno investire o pensare a una promozione per portare gli spazi indipendenti sulla scena internazionale. Succhieranno questo fermento fino a svuotarlo di tutto quello che ne è la genesi, lo renderanno commerciale, il più rapidamente possibile, e poi lo butterano. Questa è la tragedia italiana, nessuno fa niente e quando qualcuno lo fa, tutti provano a scroccare una parte del merito. Spero per il bene dell’arte e del suo futuro in Italia che queste iniziative sapranno anche mantenere certe linee ideologiche e non cadere in una voragine di mediocrità, come quella degli ultimi decenni. 

CC: Come vedete le realtà più fresche e significative del panorama italiano? Che opinione avete in merito ai passi che stanno compiendo i giovani artisti italiani, senza ricorrere a una schematizzazione? 

PD: Quando abbiamo iniziato eravamo appena usciti dell’accademia, abbiamo fatto il nostro percorso assieme e ci siamo creati un’identità collettiva. Spesso, da quello che vedo, gli artisti che stanno aprendo spazi a Roma, sono ben più che lanciati e cercano solo di nascondersi dietro questo fermento sugli artist-run space per poter godere di un’attenzione più ampia. Ma se hai solo gli studi, non ti puoi veramente definire artist-run space, perché svuoti la parola del suo senso profondo e nobile. Poi che si crei una cassa di risonanza è sicuro, ma stiamo ancora aspettando di vedere quale saranno le loro proposte. 

Detto ciò, siamo sempre molto curiosi e molto golosi di questo tipo di realtà, il dialogo con tutti loro è perpetuo e non ci sono conflitti personali, anzi cresciamo in questo confronto ideologico. Vorremo vedere un po’ di più e sentire un po’ meno, perché questo è quello che sta succedendo attualmente. Proviamo ad essere un esempio, essere consiglieri per chi intraprende questo tipo di percorso, ma dopo la gente è libera di fare ciò che vuole: “Spazio loro, regole loro”. Se posso dare un’occhiata agli spazi che potrebbero sorprenderci a Roma penso a Condotto48: sono giovani, hanno fatto un bel lavoro di ristrutturazione e hanno tanta voglia di dimostrare il loro valore; sono arrivati e si sono affermati in un momento proficuo e questo va a loro favore.

Per ciò che riguarda il contesto italiano, spero che si creeranno interazioni tra le varie città e che terminerà questo conflitto tra Roma e Milano per aggiudicarsi il titolo di capitale dell’arte contemporanea italiana. Spero che si riuscirà a creare un terreno fertile per gli scambi e la cooperazione, così da proporre un fronte attivo comune rispetto alla scena internazionale.

Veduta della mostra. 2020
What kind of perversion im showingoff. Fotografie di Marco De Rosa
Veduta della mostra. 2020
=SPAC3. Fotografie di Marco De Rosa
Veduta della mostra. 2021 _ Voyage _ Voyage. Fotografie di Marco De Rosa

CC: Vi siete mai trovati in sintonia con lo spirito della vostra generazione? 

PD: Diciamo che la sintonia generazionale è qualcosa che da noi non si sente. Io sono un po’ il nonno in questo spazio, ho uno scarto di dieci anni con il più giovane. Sembrano pochi ma sono già tanti quando ci si confronta su riferimenti concettuali e ideologici.

Con in Situ, più che essere in sintonia con le generazioni dell’ambiente artistico, penso di essere in sintonia con quelle del mondo “reale”. Abbiamo sempre provato a mostrare la società di oggi con forme del presente, oggetti di oggi e soggetti della nostra quotidianità; quindi, posso affermare che siamo in sintonia con questo nostro periodo storico, anche se ci siamo rifiutati di trattare soggetti politici o di società, come il covid o il femminismo. Abbiamo superato queste problematiche e siamo focalizzati a rappresentare la realtà per quello che è, non per quello che cerca di spettacolarizzare.

Il grande problema con le nostre generazioni di artisti è che si crea un contrasto con quello che ci presentano in una sorta di post post moderno, in cui la forma e i materiali sono la copia delle opere di Arte Povera, ma il pensiero che questi artisti difendevano era legato alla loro società e alla loro epoca; invece quello che si produce oggi è vuoto di concetti e ideologie.

Per colmare tale vuoto, si inventano concetti che non lo sono, si fanno grandi discorsi che non sono leggibili senza la presenza di un foglio sala. In qualche modo è come parlare cinese a un italiano; gli artisti non hanno la padronanza del linguaggio dell’arte e cercano di farti passare per ignorante. Quindi siamo spesso in contrasto con le nostre generazioni e quelle che ci precedono, perché purtroppo non hanno saputo creare dei discorsi universali o che potessero essere capiti da tutti. Spero veramente che questo modo di fare arte, ovvero nascondersi dietro grandi testi e citazioni risonanti, questa masturbazione mentale che gli artisti si fanno, sparisca e che ritorni un’arte accessibile e comprensibile secondo il grado di conoscenze.

Sicuro che Picasso, del Cubismo, non ne parlava a nessuno, ma lo indicava come una moltiplicazione dei punti di vista, cosa che rappresentava la sua contemporaneità e che alla fine era leggibile nei suoi quadri. Al contrario, quello che vediamo spesso oggi è una qualcosa di illeggibile, caratterizzato da concetti complessi, talmente complessi che l’artista stesso non li capisce, ma li cita, e quello che ne esce sono opere contemporanee simboliche che non sarebbero state accettate neanche nei periodi ai quali fanno riferimento. 

Abbiamo creato il nostro spazio in contrasto con quello che vedevamo a Roma e credo che saremmo in contrasto con quello che vedremo, perché cerchiamo di essere sempre in movimento, cerchiamo le nuove tendenze e quando la gente avrà assimilato quello che vogliamo dire oggi, noi saremo già nel domani. Credo che solo così si possa andare avanti ed essere contemporanei nel vero senso della parola.

CC: Pensate si potrà parlare, come in passato, di una tendenza prettamente italiana? 

PD: Con l’avvento di Internet la nazionalizzazione delle forme è saltata. Anzi, è nel suo combattere per mantenere la sua italianità che l’arte italiana è decaduta. Credo ci siano linee di stile proprie di una cultura, lo vedo spesso nel senso dell’umorismo che emerge dalle opere; l’italiano fa prova di ironia, l’inglese di sarcasmo, il francese ha un umorismo leggero, lo svizzero si serve dell’autoderisione. Inoltre, le forme e i soggetti ormai hanno una sorta di universalità, il che è anche buono, solo l’Italia non se n’è resa conto.

Basta con questi marmi perché è la nostra cultura o il virtuosismo o il simbolismo. Basta anche dire che sono il figlio naturale di De Dominicis o altre cialtronate alla Verdone, non si legittima l’arte con tali argomenti: l’arte si fa e dopo si vede quello che ne esce. Poi chissà, Roma tornerà ad essere un centro artistico per il mondo intero. Vedremo, forse usciranno scuole di pensiero e forme che caratterizzeranno l’Italia. Ad esempio, io sto teorizzando il Romanticismo Pop, sicuramente Roma in tutto questo potrebbe avere un ruolo da giocare, vista la sua importanza nel Grand Tour Ottocentesco. Ma questo ce lo dirà il futuro.

CC: All’interno del sistema dell’arte gli spazi indipendenti svolgono il ruolo fondamentale di trampolino di lancio per l’emergere di nuovi artisti, idee e valori che difficilmente troverebbero respiro negli spazi istituzionalizzati. Da un lato una forte spinta all’innovazione, dall’altro doversi confrontare con un sistema precario e instabile. Come vi ponete all’interno in questo clima? Potete contare su aiuti stabili?

PD: Credo che il grande problema sia proprio ciò che facciamo, che sarebbe quello che dovrebbero fare anche le istituzioni con le quali si è dovuto creare un ponte che meriterebbe la loro collaborazione. Serve un riscontro su quello che proponiamo per ridare all’Italia una credibilità internazionale. Proponiamo artisti nazionali ed internazionali e ben spesso con una carriera già avviata. Quando esponiamo gli artisti emergenti, servirebbe una spinta o un’eco, forse delle gallerie o dei musei che intercettano, tra le nostre proposte, quello che si crede interessante. Bisognerebbe dar voglia agli artisti internazionali ed anche emergenti il desiderio di venire qui, non solo per una vacanza ma per avere una svolta nella sua carriera; per questo bisogna superare il pensiero del One Shot.

Spero accadrò presto, per il bene di tutto il sistema dell’arte in Italia. Noi continuiamo a fare quello che sappiamo fare, essere curiosi e cercare nuovi stimoli di pensiero e nuove forme, che è sempre ciò che ci spinge. A In Situ è vero che galleggiamo nella precarietà, ma siamo sempre riusciti a presentare i progetti. Così, questa precarietà, può diventare anche uno stimolo, ci obbliga ad essere creativi. Quello che cambierebbe è trovare dei fondi. Se avessimo un sostegno comunale e regionale per portare avanti le nostre proposte, Spazio In Situ continuerebbe a fare il suo, e tanto, proponendo progetti ancora più imponenti.

Tuttavia, il sostengo regolare di molte istituzioni straniere come l’ISR, L’istituto Francese in Italia, l’Ambasciata Svizzera o il cantone del Vallese, ci ha sempre permesso di presentare mostre di qualità e di professionalizzarci, proponendo mostre più complete. 

A pensarci, credo che sia questo il vero riscontro che può vantare chi gestisce uno Spazio Indipendente: diventare professionisti, comprendere le problematiche degli spazi istituzionali. Forse questo dialogo tra artisti/direttori artistici, curatori e responsabili istituzionali potrebbe aprire nuove porte, non solo agli artisti ma anche a tutti i musei, che ben spesso anche loro, in questo paese, subiscono la precarietà del sistema. Per creare nuove sinergie, si potrebbe consolidare l’immagine stessa del museo, portandolo anche ad essere promotore della scena regionale. Se si osservano le strategie applicate in Francia, in Svizzera e in Germania, paesi nei quali certe iniziative di tipo indipendenti si sono trasformate in KunstHalle o CAC, si può capire quanto è importante e necessario il dialogo tra iniziative artistiche, istituzioni e politica: solo con esso si può trovare un’alternativa duratura alla situazione pietosa nella quale agonizzano le politiche culturali italiane. Devo comunque ammettere che l’attenzione attuale sugli spazi gestiti da artisti può essere una grande svolta per costruire questo ponte, nella speranza di consolidare un rapporto di fiducia.

Veduta della mostra. 2021
ISIT exhi#001. Fotografie di Marco De Rosa
Veduta della mostra. 2022
Congruenze spaziali | scrollpainting105. Fotografie di Marco De Rosa

CC: Le ragioni che vi hanno spinto ad aprire uno spazio trovano poi riferimento nella scelta degli artisti e nella vostra programmazione curatoriale? Come si pone quest’ultima nei confronti delle tematiche socio culturali care al contemporaneo?

PD: Dal 2016 ad oggi siamo cresciuti, ma l’intensità delle nostre ideologie non sono mutate. Non è cambiata la meta, ma il modo di raggiungerla. Col tempo si sono create tante altre situazioni che ci hanno dato la voglia di ambire a mostre sempre più imponenti e complesse da organizzare. Più che scelte, parlerei piuttosto di strategie e ideologie curatoriali: uno spazio come il nostro è mutevole e reagisce alle risposte che riceviamo… Non parlo delle critiche del pubblico (sulle scelte concettuali e formali, sin dall’inizio si è tenuto una linea incentrata sull’oggi); né mi riferisco al dialogo intrapreso con gallerie ed istituzioni, che si basa su un rapporto di fiducia, che va nutrito con nuove proposte e nuove idee. Abbiamo imparato a non corrompere le ideologie di In Situ con nuove interazioni istituzionali, senza chiudere il dialogo con altre realtà indipendenti. Questo si riflette nella nostra programmazione e nell’interesse dei nostri sostenitori. Vediamo come evolveranno le cose nei prossimi anni, forse un giorno la nostra realtà, come altre in tutta Italia, si trasformeranno in veri centri d’arte contemporanea o in gallerie, noi abbiamo intrapreso la prima via. Per riavviare il sistema dell’arte in Italia servono entrambe le direzioni, e devo dire che certi miei colleghi, i direttori artistici di spazi indipendenti, potrebbero benissimo rivestire la veste dell’una come dell’altra. Per noi è stato naturale intraprendere questa mutazione perché ha il vantaggio di non dover corrompere la nostra linea guida. Chi fa il gallerista rischia sempre d’inciampare sulla vendibilità dei progetti e perde questa freschezza alla quale siamo molto legati.  Non dico che queste lotte non vanno fatte, ma non possono diventare lo scudo per ripararsi dalla critica. Quello che conta è mantenere un discorso costruttivo e cercare di interrogare la nostra società di maniera universale. 

CC: In che modo i vostri progetti continuano nel tempo e si inseriscono in un discorso – sempre che lo facciano – di economia dell’arte?  Quali sono le figure con cui entrate maggiormente in contatto?

PD: L’arte è sempre stata legata a due cose, una di queste sono i soldi. È giusto che gli artisti debbano essere rispettati in quanto professionisti e quindi anche retribuiti, il mercato dell’arte lo permette. Siamo tutti felici in quanto artisti di poter vendere una nostra opera e ambiamo a poter sopperire ai bisogni con il nostro lavoro e non con altri impieghi puramente pecuniari. Tuttavia, si sono anche perse certe lotte presenti nell’arte sin dal Rinascimento, ovvero la ricerca di una sua autonomia, inficiata prima dalla chiesa, poi dalla borghesia, e ora dal mercato che è il nuovo padrone dell’arte. Esso impone le sue regole e normative, e omologa il gusto.

 I grandi nomi dell’arte delle generazioni precedenti hanno saputo presentire questo spostamento, o forse lo hanno creato, non senza un certo fascino. Il mercato dell’arte è diventato, per artisti come Damien Hirst o Cattelan e tanti altri, un materiale scultoreo dal quale fare uscire nuove forme artistiche. Le persone hanno cominciato a prenderli come esempi, ma il mercato è cambiato seguendo quest’adagio speculativo. Forse questa bolla scoppierà, forse proprio alla morte di un Koons o di un Hirst, avverrà il momento, analogo ai tulipani in Olanda, in cui la gente si renderà conto di aver investito in qualcosa che non ha più nessun legame con un valore tangibile. Il vantaggio dell’arte, spero, essendo un mercato chiuso, è di avere poche ripercussioni sul mondo reale. Dopo la crisi del 2008 l’arte è diventata un valore di rifugio per fondi d’investimento anche per chi non frequenta musei, tutto ciò non mi lascia presagire un finale indolore. 

Credo che il mercato sia anche una forza che agisce sull’artista in quanto individuo e, con In Situ, abbiamo collaborato e collaboriamo ancora con le gallerie in quanto artisti; sono interlocutori con cui dobbiamo confrontarci, possono essere anche di ottimo consiglio. Staccarsene sarebbe anti-costruttivo, sia come artisti che come realtà collettiva. L’aspetto mercantile esiste e negarlo sarebbe sciocco. Credo sia necessario prendere atto del fatto che unificando il discorso, si sia intrappolata la vera ragione di esistere dell’arte, della ricerca e di una certa forma di libertà. Partendo da questo intento, da realtà collettiva, forse avremo tutti da guadagnare, ma per cambiare il sistema tocca mantenere lo Spazio Indipendente autonomo dal mercato.

Diventa centrale capire che in uno spazio indipendente siamo tanti individui, e anche se gli artisti lavorano con le gallerie, non cambia per niente il valore di quello che fanno in quanto gruppo, tocca solo star attenti a mantenere una certa libertà sulla programmazione, non cadendo nella trappola della vendibilità delle opere esposte. Lo stesso vale per le tematiche socioculturali.

CC: Sempre più frequentemente nelle città si sente la necessità di aprire nuovi spazi di dialogo e ricerca.
Che consiglio dareste a chi vorrebbe intraprendere questa strada?
PD: Di chiamarci o chiamare altre realtà. Il dialogo tra tutti gli attori culturali, indipendenti, mercantili o istituzionali è diventato primordiale in questo momento preciso. Per il resto credo essere stato abbastanza divulgativo durante le risposte precedenti.

CENTRO ITALIA
FIRENZE

Base / Progetti per l’arte

Centro di Cultura Contemporanea
Strozzina – Fondazione Palazzo Strozzi

Galleria Poggiali

La Portineria – progetti arte contemporanea

Museo del Novecento

Palazzina dell’indiano arte (PIA)

LIVORNO

Carico Massimo Associazione Culturale – Magazzini Generali

Via della Cinta Esterna 48/50, 57100 Livorno

PESCARA

A Sud

Corso Vittorio Emanuele II, 10, 65121 Pescara
+39 338.6399508

Senza Bagno

Simone Camerlengo in collaborazione con Eliano Serafini, Matteo Fato, Lorenzo Kamerlengo, Lucia Cantò, Gioele Pomante, Gianluca Ragni e Francesco Alberico

Via Silvio Spaventa 26, 65126

Soyuz Project Space

PERUGIA
PRATO
ROMA

 Basement

Ilaria Marotta e Andrea Baccin
Via Nicola Ricciotti, 4, 00195 Roma
06 9435 8667

Castro Projects

Gaia Di Lorenzo – Artista, Fondatrice e Direttrice Giulia Floris – Responsabile Programma Pubblico e Finanziamenti Serena Schioppa – Responsabile Programma Studio e Comunicazione
Piazza dei Ponziani 8e, 00153, Roma, Italy
+39 334 3213134

Condotto 48

Riccardo Paris, Verdiana Bove, Emanuele Fasciani, Luca Di Terlizzi, Caterina Sammartino, Francesca Romana Cicia
Via Carlantonio Grue 48, Roma

Gagosian

Galleria Mucciaccia Contemporary

Giulia Abate | Founder / Artistic Director Delfina Bergamaschi | Director Maria Vittoria Pinotti | Gallery Manager
Via di Monte Brianzo, 86, 00186, Roma
+39 06.68309404
Limone Space
Michela de Mattei e Diego Miguel Mirabella
Via di Pietralata 159° – Roma
+39 3200414268 +39 3286796370

Nero  Editions

Nomas Fondation

Letteria Grazia Fassari, Raffaella Frascarelli, Elisa Genovesi
Viale Somalia, 33, 00199 Roma RM
06 8639 8381

Numero Cromatico

Dionigi Mattia Gagliardi, Salvatore Gaetano Chiarella, Manuel Focareta, Marco Marini, Giulia Torromino, Luisa Amendola, Marianna Rossi, Sara Cuono, Licia Masi, Federica Marenghi
Via Tiburtina 213 00185 Roma, Lazio

Porto Simpatica

Federico Arani, Simone Bacco, Jerico Cabrera Carandang, Ginevra Collini, Giulia Crivellaro, Vito Gara, Andrea Lo Giudice, Alessandro Matera, Stella Rochetich

Via dei Silvestrini n. 6b, 00149 Roma RM

Spazio in situ

Sveva Angeletti, Alessandra Cecchini, Christophe Constantin, Francesca Cornacchini, Federica di Pietrantonio, Marco De Rosa, Chiara Fantaccione, Roberta Folliero, Andrea Frosolini, Daniele Sciacca, Guendalina Urbani
Via San Biagio Platani 7, Rome, Italy
328 543 9828
Spazio Y / Off1c1na
Paolo Assenza, Nicola Rotiroti, Arianna Bonamore e Germano Serafini
Via dei Juvenci 11 00175 Roma
342 095 4011
SANSEPOLCRO
VITERBO

NORD ITALIA

BERGAMO

LIBRERIA GIACOMO QUARENGHI

LUOGO_E

Chiara Fusar Bassini, Federica Mutti, Luciano Passon
Via Pignolo 116, 24121 Bergamo

+39 035 247293

SPAZIO CONTEMPORANEA

SPAZIO VOLTA

Edoardo De Cobelli

Piazza Mercato delle Scarpe 3 24129 Bergamo, Lombardia

BOLOGNA

Adiacenze

Amerigo Mariotti e Daniela Tozzi
Vicolo Spirito Santo 1, 40123
+39 333 5463796

 Alchemilla 43

Camilla Sanguinetti – Architetto
Fulvio Chimento – Curatore
Claudia Baccarani – Giornalista
Elisa Campagnaro – Graphic Designer
Ragia Kaja A. – Designer
Antonella Malaguti – Editor
Andrea Panzavolta – Facilitatore

Via Santo Stefano, 43, Bologna, 40125
333 2915615 340 470 0468

Casa della Cultura Italo Calvino

Via Roma 29 40012 Calderara di Reno, Emilia-Romagna

342 885 7347

www.facebook.com/casadellaculturaitalocalvino

DAS dispositivi arti sperimentali

Gelateria Sogni Di Ghiaccio

Locale Due

Fabio Farne’, Filippo Tappi Valentina D’Accardi, Gabriele Tosi

Via Azzo Gardino 12c, 40123, BOLOGNA
+39 3312273841

P420

Fondatori: Fabrizio Padovani, Alessandro Pasotti
Direttrice: Chiara Tiberio

Via Azzo Gardino, 9, 40122 Bologna, BO
+39 051 4847957

Raccolta Lercaro

Via Riva di Reno 57, 40122
051 656 6210
claudio.calari@fondazionelercaro.it

TIST situations

Yulia Tikhomirova e Michele Liparesi, Massimiliano Marianni, Uriel Schmid-Tellez
Via Serrabella 1, Rastignano (BO)
BRESCIA

Palazzo Monti

COMO
GENOVA
MILANO

Care Of

Fabbrica del Vapore, via Procaccini, 4, 20154 Milano
+39 02 666 69080

Co_Atto

Stefano Bertolini, Ludovico Da Prato e Marta Orsola Sironi
Stazione Milano Porta Garibaldi 20154 Milano, Lombardia
346 031 2143

Edicola Radetzsky

Viale Gorizia (Darsena) – Milano

Forme Uniche

FPAC Francesco Pantaleone Arte Contemporanea

Via San Rocco, 11, 20135, Milano
+39 091332482 +39 0287214884

Mega Mega

Davide Giannella, Delfino Sisto Legnani, Giovanna Silva, Joel Valabrega
Piazza Vetra, 21 – 20123 Milano

State Of

Tile Project

Roberta Mansueto, Caterina Molteni e Denise Solenghi

Via Garian 64, angolo viale Misurata, 20146 Milano

Via Farini

Via Saterna

Irene Crocco

Via Leopardi, 32, 20123 Milano

+39 3755152721 02 3672 5378
TELLARO
PARMA
TORINO
Almanac

Andrea Chieli, Elena Iside Pandolfo, Beatrice Sacco, Guido Santandrea, Laura Sinagra Brisca.

Via Reggio 13 – 10153 Torino
+447591681273
Associazione Bastione

Strada Val San Martino Superiore 27, 10131

Infernotto
Via Gian Francesco Bellezia, 8g, 10122 Torino (TO)
Quarz Studio
Via Giulia di Barolo 18 – 10124 Torino
VARESE

Yellow

Viale S. Pedrino 4 – 21100 Varese

+39 347 4283218

+39 349 5927812

VENEZIA

ArtEvents

Archivi della Misericordia Canareggio 3549, 30121 Venezia VE

+39 041 5281259

Associazione Culturale Trasparenze

Via Querini 22, Mestre VE

European Cultural Centre

Strada Nuova, Cannareggio 3659, 30121 venezia

+39 340 820 5811

VERONA